lunedì 10 giugno 2019

Recensione Flash: Il traditore



Anno e Nazione di Produzione: Italia 2019

Distribuzione: 01 Distribution

Genere: Drammatico

Durata: 135 minuti

Cast: Pierfrancesco Favino, Luigi Lo Cascio, Maria Fernanda Candido, Fabrizio Ferracane, Fausto Russo Alesi, Pier Giorgio Bellocchio, Bebo Storti

Regista: Marco Bellocchio

Tommaso Buscetta, per gli uomini d'onore don Masino, è uno dei tanti 'soldati' che ingrossano le fila della mafia palermitana agli inizi degli anni Ottanta. Vicino al boss Stefano Bontate, all'arrivo nel capoluogo siciliano dei corleonesi, avverte che qualcosa sta cambiando e decide di tornare in Brasile con la moglie Cristina e i figli più piccoli. Sfuggirà ad una carneficina: i corleonesi non solo prendono il controllo di Palermo e del traffico di droga, ma anche di Cosa Nostra. La mafia, per come la conosceva Buscetta, è finita. Lui è al sicuro a Rio de Janeiro, ma chi è rimasto in Sicilia, della sua famiglia, viene coinvolto in quella mattanza che contraddistinse gli anni più neri della guerra di mafia. Don Masino comprende che i nuovi capi, Totò Riina in testa, lo vogliono morto. Arriva l'estradizione, un periodo caotico durante il quale Buscetta è diviso tra la fedeltà alla sua famiglia e a Cosa Nostra. Giunto a Roma, si ritrova ad essere interrogato da un giudice, siciliano come lui: parlano la stessa lingua, per quanto 'sbirro' conosce il codice di comportamento che don Masino onora, ormai da più di quarant'anni. Così, Buscetta da uomo d'onore diventa collaboratore di giustizia. Per altri, invece, un traditore. 


Marco Bellocchio torna alla regia con un film che, apparentemente, sembra molto distante dal suo stile e dalle storie che ha proposto finora al pubblico. Il maestro questa volta racconta di Tommaso Buscetta, il primo pentito di mafia, l'uomo che si rivelò decisivo nel diagnosticare quel 'cancro' che per troppo tempo è coesistito con lo Stato, in Sicilia. Coesistere non è un termine del tutto corretto, effettivamente Cosa Nostra nell'isola aveva letteralmente soppiantato lo Stato. Se si deve al giudice Giovanni Falcone l'intuizione di seguire i traffici mafiosi tramite i conti bancari, e il consecutivo smantellamento degli affari criminali, con le dichiarazioni di Buscetta si è riusciti a dare un volto a Cosa Nostra. Ed è proprio questo a cui è interessato Bellocchio, l'aspetto umano del fenomeno mafioso: Buscetta è un uomo solo, estraniato dal suo contesto e dal nucleo di appartenenza. Il regista analizza le sue scelte al microscopio, per far arrivare allo spettatore l'umanità, non del male ma, di un individuo a cui si sono infranti ideali e credenze.



Pierfrancesco Favino si è completamente spersonalizzato per dare a Buscetta corpo e voce, l'identificazione col pentito di mafia è perfetta. Un lavoro attoriale, il suo, che lascia il segno, degno dei grandi interpreti del nostro cinema. L'attore materializza l'integrità morale di un uomo scisso tra vecchi e nuovi valori. Bellocchio sceglie due momenti, in particolare, per far conoscere allo spettatore il Buscetta marito e mafioso: in Brasile, quando vede penzolare la moglie Cristina da un elicottero, e la scena finale del film, che chiude il cerchio sulla descrizione del personaggio, analizzato dal regista.



Buscetta non è il mafioso a cui il cinema, finora, ci ha abituati: poche parole, tanto sangue. Quando Tano Badalamenti lo raggiunge a Rio, portandogli la notizia dell'uccisione del fratello e del nipote, gli dice anche: "tu hai testa". Buscetta si muove in un carnaio, impossibile per lui riconoscere l'organizzazione a cui ha prestato giuramento. Don Masino osserva, riflette, e decide. Per il 'boss dei due mondi' rinunciare al potere non equivale ad un sacrificio ma ad una dichiarazione d'intenti: lui, paradossalmente, ama quello che fa, ma lo deve fare a modo suo, secondo il suo codice comportamentale. Preziosa la ricostruzione del rapporto creatosi col giudice Falcone, in cui il collaboratore di giustizia ha riconosciuto un uomo d'onore, anche se dall'altro lato della barricata. E lo Stato, in tutto questo, dov'è? Lo vediamo in Andreotti, sfuggente e indecifrabile. Bellocchio non aggiunge altro.

"Io non ti odio, signor Riina. Se ti odiassi ti farei un favore. Tu per me non esisti."

In concorso all'ultimo festival di Cannes, sicuramente Il traditore avrebbe meritato più risonanza all'interno della manifestazione. Il resto del cast, dallo straordinario Luigi Lo Cascio a Fabrizio Ferracane, da Fausto Russo Alesi a Maria Fernanda Candido, supporta Favino nella ricostruzione di un periodo che, ancora oggi, ha necessità di essere spiegato e analizzato.
Il traditore: Buscetta viene definito così, ma traditore di cosa e di chi? Senza mitizzazioni e inutili incensamenti retroattivi, Favino e Bellocchio restituiscono al primo pentito di mafia la credibilità di un uomo che, nonostante tutto, ha creduto di agire per il bene degli altri, prima che per se stesso. 

Il trailer:



Consigliato: Assolutamente sì

venerdì 15 marzo 2019

Recensione Flash: Domani è un altro giorno


Anno e Nazione di Produzione: Italia 2019

Distribuzione: Medusa

Genere: Commedia

Durata: 100 minuti

Cast: Marco Giallini, Valerio Mastandrea, Anna Ferzetti, Andrea Arcangeli, Fabrizia Sacchi, Renato Scarpa, Barbara Ronchi, Blas Roca-Rey

Regista: Simone Spada

Tommaso e Giuliano sono amici, ma amici davvero. Quelli che ormai è difficile trovarne ancora in giro, così legati al sentimento che li unisce.
Succede, però, che la vita ci mette del suo, sempre. Giuliano, attore di TV  e teatro, è malato, gli resta poco da vivere. Costantemente aggiornato sulla salute dell'amico dalla cugina di lui, Paola, Tommaso segue l'evolversi della malattia da lontano. Vive in Canada da anni, con moglie e figli.
Quando la situazione di Giuliano si avvia verso l'inevitabile conclusione, Paola chiede a Tommaso di aiutarla: Giuliano rifiuta le ultime cure, che lo terrebbero in vita per qualche mese ma nulla più. Lui non ci sta: è sempre stato libero (oltre che libertino, donnaiolo scanzonato e impenitente), non si arrende ad una fine così. Ad uscire di scena con gli applausi ancora scroscianti, è questo che vuole. D'altronde è un attore.
Tommaso così arriva a Roma, sperando di convincere Giualiano a proseguire le terapie. Invece sarà un addio, il loro, lungo quattro giorni, fatto di risate, tenerezza e affetto sincero. Sentimenti che nemmeno una morte imminente può scalfire e cancellare.



In principio fu Truman (la mia recensione ---> QUI), film spagnolo del 2015 che fece incetta di premi e successo, forte di una trama toccante e delle interpretazioni eccezionali dei due protagonisti della pellicola, l'argentino Ricardo Darin e lo spagnolo Javier Camara. Truman credo sia uno dei miei film spagnoli preferiti, e quando, mesi fa, ho letto la notizia di un rifacimento made in Italy che annunciava come protagonisti due degli attori italiani che più apprezzo, Marco Giallini e Valerio Mastandrea, mi sono ripromessa di vederlo assolutamente.
La scelta di Giallini e Mastandrea è la forza del film: i due attori, amici per davvero anche nella vita reale, rievocano alla perfezione l'alchimia dei protagonisti originali perché essendo la storia basata sul racconto di un'amicizia fraterna e di lunga data, era assolutamente imprescindibile che i due protagonisti condividessero un grande feeling. Giallini ci regala forse una delle sue migliori interpretazioni, a cui Mastandrea fa da spalla alla perfezione.
Posso dire che, non facendo poi tanti confronti col film spagnolo, Domani è un altro giorno mi ha regalato emozioni profonde e preziose.
Gira tutto intorno all'amore questo film: amore tra due amici, amore filiale, amore per un cane, Pato, fedele e tenero compagno di una vita. L'amore in tutte le sue declinazioni, quello puro e sincero. E c'è anche tanta riconoscenza, nonostante tutto: alla vita, alle persone che Giuliano ha incontrato, a cui ha voluto bene e a cui ha fatto del male. Riconoscenza anche alla morte, perché è grazie a lei che Giuliano prende coscienza della sua fortuna, dell'affetto che lo circonda. Scopre chi è davvero, cosa vuole e mette a tacere le 'voci di dentro', per far parlare solo il cuore. 

Il trailer:


Consigliato: Assolutamente sì!

mercoledì 6 febbraio 2019

Recensione (mica tanto) Flash: Il primo re


Anno e Nazione di Produzione: Italia, Belgio 2019

Distribuzione: 01 Distribution

Genere: Drammatico

Durata: 127 minuti

Cast: Alessandro Borghi, Alessio Lapice, Fabrizio Rongione, Massimiliano Rossi, Tania Garibba

Regista: Matteo Rovere

All'inizio della leggenda ci sono due fratelli. 
Cresciuti fianco a fianco, soli. La loro forza è il rimanere assieme, proteggersi a vicenda. Cercarsi con lo sguardo, sempre, perché dev'essere così. La madre, prima di lasciarli, ha chiesto a Remo di proteggere Romolo e di stargli vicino. Così è stato, e così è. Almeno fino a quando, fra loro, si frappone un sogno che si chiama Roma. 


Inutile che mi dilunghi nel raccontarvi la trama del nuovo film di Matteo Rovere. La leggenda della fondazione di Roma fa parte del nostro immaginario, fin da bambini. 
Attendevo con curiosità l'uscita di questo film, da quando ne lessi notizia ormai un anno e mezzo fa. Già allora l'idea, sulla carta (e con la prima foto dal set di Alessandro Borghi), mi era piaciuta, e mi domandavo come l'avrebbe concepita il regista questa storia così antica, mitica, quasi sacra; avevo avuto la percezione che fosse in arrivo un film davvero originale.
L'obiettivo principale di Rovere credo sia stato quello di umanizzarla questa leggenda: togliere quell'aura mitica, e anche un po' polverosa, per ricoprirla di più nobile sudore, terra e sangue.
Le battaglie su cui abbiamo fantasticato, sul grande schermo sono diventate epiche, ben girate e curate nelle movenze. I protagonisti Borghi e Lapice hanno tenuto a precisare che tutto lo sporco e il sudore sono dannatamente veri, frutto di intere giornate di riprese.
Rovere e la sua troupe hanno dedicato un'attenzione maniacale ad ogni aspetto del film, dal proto latino (un mix di latino e altre lingue, incluso etrusco e sabino, che si parlavano allora nel Lazio), scelta linguistica sensata e affascinante, alle ambientazioni tutte laziali. Dai costumi alla ricostruzione scenica dei villaggi, fino alle luci: quella che vedrete nel film è solo luce naturale. Anche in questo caso, si è voluto tutelare la genuinità della storia. Insomma, nulla è stato trascurato per far sì che arrivasse al pubblico una testimonianza viva di un passato così remoto, e leggendario.



Il regista sembra volerci dire che gli uomini sono sempre uomini, in ogni epoca. A vivificarli sono i medesimi sentimenti: paura, amore, gloria. Abbiamo un cuore antico, uguale a quelli di Romolo e Remo.
Quel che colpisce maggiormente de Il primo re è la capacità con cui sceneggiatura e regia siano riusciti a comunicare la precarietà e l'assoluta finitezza dell'essere umano. Ancor di più in quel tempo: ogni giorno di vita era una lotta, le cose cambiavano velocemente e all'improvviso.
Ci si poteva solo affidare agli dei. Uno degli elementi più importanti del film è proprio la religiosità, la presenza costante e quotidiana degli dei. È proprio questo a fare la differenza, la chiave di volta di tutta la storia.



Perché proprio Romolo è destinato a diventare re? A prima vista si direbbe che il protagonista della storia è sicuramente Remo, interpretato magnificamente da Alessandro Borghi: lo vediamo riempire la scena con una fisicità potente e animalesca, così ricoperto di fango e sangue che si fatica a distinguergli fattezze e sguardi. Remo è un uomo di carne e volontà, in lotta perenne con gli elementi, con i suoi simili, con gli dei. Durante un suo dialogo con la Vestale, l'incarnazione del dio tra gli uomini, in poche parole svela la sua natura allo spettatore; se la sacerdotessa crede nell'ineluttabile volontà divina che tutto governa, Remo, fiero, le dice che non esiste nessun dio che può influenzare il suo destino: "Il mio destino sono io". 
Speculare per sangue, ma non per il credo, vediamo Romolo, l'attore napoletano Alessio Lapice, contrapporsi alla fisicità del fratello con semplici sguardi e scarni discorsi, eppure così significativi e ben interpretati. Se Remo crede in se stesso, Romolo crede fortemente nell'entità divina, che lo supporta e lo definisce come uomo.
Quindi, se tutto accade in un'epoca in cui era la lotta per la sopravvivenza a dettare legge, perché Remo, così capace, soccombe e Romolo diventa re? 



Quello era il tempo degli dei, e gli uomini erano solo pedine in un gioco mortale di cui non conoscevano l'esito. Sempre la Vestale svela a Remo che gli dei si sono serviti di tutti loro, e inconsapevolmente ognuno ha fatto la sua parte (per quanto Remo si sia opposto, infatti lo definirei un homo novus, fuori posto in quei tempi mitici). 
Così, Romolo uccide il fratello perché Roma, altrimenti, non sarebbe mai esistita: lui crede e si fa guidare dagli dei perché la nuova città ha bisogno della protezione divina per nascere ed essere destinata ad un grandioso futuro. Un impero come lo sarà quello romano, giunge a così grande importanza e regalità solo grazie agli dei. Se fosse stato Remo a fondare Roma, la città sarebbe stata votata all'autodistruzione, poiché i pilastri su cui avrebbero poggiato le sue case e i suoi templi sarebbero stati di corruttibile carne e volubile volontà umana, e non di granitica forza divina.
Romolo crede, Remo no. La scelta, tra i due, per gli dei è stata semplice.
La scelta di uccidere Remo, invece, per Romolo sarà dolore e benedizione insieme. Sul sangue, insieme, i due fratelli fondano Roma: un sacrificio necessario e inevitabile affinché la futura gloria sia imperitura.
L'ho apprezzato davvero tanto questo film, e non riesco a trovargli difetti. Un film che il cinema italiano stava aspettando, e di cui si sentiva il bisogno. Bravi tutti, e tremate: questa è Roma. Questo è Il primo re.

Consigliato: Assolutamente sì



Il trailer: 



domenica 20 gennaio 2019

Recensione Flash: Non ci resta che il crimine


Anno e Nazione di Produzione: Italia 2019

Distribuzione: 01 Distribution

Genere: Commedia

Durata: 102 minuti

Cast: Marco Giallini, Alessandro Gassmann, Gianmarco Tognazzi, Edoardo Leo, Ilenia Pastorelli, Antonello Fassari

Regista: Massimiliano Bruno

Roma, oggi: tre amici, Moreno, Sebastiano e Giuseppe sono in centro per promuovere, col loro banchetto scalcagnato, un tur (se vedrete il film, capirete il perché della scrittura errata di tur) nei luoghi che hanno fatto la storia della banda della Magliana, il gruppo di criminali che ha terrorizzato Roma tra fine anni settanta e inizi anni Ottanta. Il più fissato dei tre con questa storia è Moreno, disoccupato e in rotta con la ex moglie per via degli alimenti che le dovrebbe. Incontrano Gianfranco, un loro amico d'infanzia, bullizzato prevalentemente da Moreno, che ha fatto fortuna rispetto a loro, vessati e scontenti della vita che conducono. Entrando in un bar, per prendere un caffè offerto proprio dalla loro ex vittima, i tre scoprono nello scantinato un varco temporale. Così, per sfuggire all'asfissiante Gianfranco, lo attraversano e si ritrovano nell'Italia del giugno '82: i Mondiali di Spagna, la Roma bella e genuina di allora. Moreno agogna la 'svorta', che nel suo tempo non è mai riuscito a raggiungere, facendo affidamento sulla memoria prodigiosa di Giuseppe che ricorda tutti i risultati delle partite del Mondiale e sulle scommesse che, quindi, risulterebbero tutte vincenti. Ma i tre dovranno vedersela proprio con Renatino De Pedis e la sua banda.
Massimiliano Bruno torna al cinema, nella veste di regista e attore, con una buona idea, anche se ricalca il topos narrativo dei viaggi nel tempo, quindi non è di originalità che stiamo parlando. Però, quest'ultimo declinato nella Roma della banda della Magliana ha una sua forza e attrattiva. Ma, sì c'è un ma, per me l'idea non è stata sfruttata bene, poiché si adagia su risate facili, dialoghi prevedibili e su attori che conosciamo benissimo, la chimica tra loro è innegabile, ma proprio per questo anche loro sanno già di visto. Le interpretazioni le ho apprezzate tantissimo, mi sono piaciuti davvero tutti, da Giallini a Gassmann, Tognazzi ed Edoardo Leo, ma è come se Bruno fosse voluto andare sul sicuro. Al posto suo, avrei puntato su attori giovani, e magari quasi sconosciuti, forse avrebbe funzionato di più. Poi, non capisco perché relegano Ilenia Pastorelli sempre nei ruoli di bonona/gatta morta (ma solo a me la Pastorelli ha ricordato con quella tutina le tre ladre di Occhi di gatto?): lei saprebbe interpretare ben altri ruoli, mi pare un peccato ed uno spreco farle fare sempre la coattona.  
Chissà Bruno se ha intenzione di proseguire la 'saga', visto il finale aperto. Magari, sulla falsariga di Smetto quando voglio. Ma ecco, lì il cast variegato e 'nuovo', sostenuto anche da una trama originale, ha saputo dare vita a una serie di film che rappresentano un qualcosa di innovativo nel panorama cinematografico italiano odierno.
Paragoni a parte, se secondo film sarà, spero che il regista corregga il tiro perché il potenziale nella storia c'è ma non è stato tirato del tutto fuori.

Consigliato: Nì

Il trailer: 


sabato 12 gennaio 2019

Recensione Flash: Moschettieri del Re - La penultima missione



Anno e Nazione di produzione: Italia 2018

Distribuzione: Vision Distribution

Genere: Commedia

Durata: 109 minuti

Cast: Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea, Sergio Rubini, Rocco Papaleo, Margherita Buy, Matilde Gioli, Alessandro Haber, Giulia Bevilacqua, Valeria Solarino

Regia: Giovanni Veronesi

Nel 1650, trent'anni dopo le straordinarie avventure giovanili, i quattro moschettieri del re di Francia, D'Artagnan, Athos, Porthos e Aramis, non se la passano granché bene. Tutti male in arnese, avvolti dai fantasmi delle vecchie glorie del passato, tirano a campare. D'Artagnan è il solito guascone, dongiovanni impenitente che, nel corso degli anni, ha sviluppato un curioso difetto di linguaggio che lo relega ad impersonare un imitazione dell'eroe che fu. Gli altri tre, i primi moschettieri, hanno trascorso la loro vita tra donne, monasteri e alcool. La regina Anna d'Austria li richiama in servizio, chiedendo loro aiuto per salvare il regno del figlio Luigi XIV, dal minaccioso cardinale Mazzarino che mira a gettare la Francia nello scompiglio e nel caos. Ce la faranno, questi vecchi eroi, a portare a termine l'impresa?
Possiamo definirlo un esperimento, quello di Giovanni Veronesi, di girare in salsa italica una storia che ha una tradizione internazionale cinematografica illustre. Per me è sicuramente un esperimento riuscito, poiché saggiamente il regista ha dosato bene commedia, goliardia e azione, aggiungendovi infine il magico feeling tra i quattro attori. I moschettieri interpretati da Favino, Rubini, Papaleo e Mastandrea sono ben caratterizzati e si stagliano sicuri dal canovaccio narrativo. I difetti degli invecchiati  spadaccini si tramutano in qualità, in un bagaglio di esperienza e saggezza che permetterà loro di portare a termine l'impresa. Esilaranti i dialoghi, e ho letteralmente adorato la scena dell'arrivo dei moschettieri a palazzo con, in sottofondo, Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano. Un colpo di genio del regista! Simpaticissimi e in parte anche la Buy, Matilde Gioli e Alessandro Haber che hanno apportato ulteriore humor. Il finale, poi, vi sorprenderà. 
Spettacolari i paesaggi della Basilicata, tolgono davvero il fiato. Davvero preziosa la scelta di Veronesi di ambientare il film in una regione del sud Italia. E curiosità, la colonna sonora è firmata da Checco Zalone, ebbene sì.
Già me lo vedo Moschettieri del re a fare incetta di premi ai David di Donatello 2019, perché per me l'originalità deve essere premiata.

Consigliato: Assolutamente sì

Il trailer: