lunedì 10 giugno 2019

Recensione Flash: Il traditore



Anno e Nazione di Produzione: Italia 2019

Distribuzione: 01 Distribution

Genere: Drammatico

Durata: 135 minuti

Cast: Pierfrancesco Favino, Luigi Lo Cascio, Maria Fernanda Candido, Fabrizio Ferracane, Fausto Russo Alesi, Pier Giorgio Bellocchio, Bebo Storti

Regista: Marco Bellocchio

Tommaso Buscetta, per gli uomini d'onore don Masino, è uno dei tanti 'soldati' che ingrossano le fila della mafia palermitana agli inizi degli anni Ottanta. Vicino al boss Stefano Bontate, all'arrivo nel capoluogo siciliano dei corleonesi, avverte che qualcosa sta cambiando e decide di tornare in Brasile con la moglie Cristina e i figli più piccoli. Sfuggirà ad una carneficina: i corleonesi non solo prendono il controllo di Palermo e del traffico di droga, ma anche di Cosa Nostra. La mafia, per come la conosceva Buscetta, è finita. Lui è al sicuro a Rio de Janeiro, ma chi è rimasto in Sicilia, della sua famiglia, viene coinvolto in quella mattanza che contraddistinse gli anni più neri della guerra di mafia. Don Masino comprende che i nuovi capi, Totò Riina in testa, lo vogliono morto. Arriva l'estradizione, un periodo caotico durante il quale Buscetta è diviso tra la fedeltà alla sua famiglia e a Cosa Nostra. Giunto a Roma, si ritrova ad essere interrogato da un giudice, siciliano come lui: parlano la stessa lingua, per quanto 'sbirro' conosce il codice di comportamento che don Masino onora, ormai da più di quarant'anni. Così, Buscetta da uomo d'onore diventa collaboratore di giustizia. Per altri, invece, un traditore. 


Marco Bellocchio torna alla regia con un film che, apparentemente, sembra molto distante dal suo stile e dalle storie che ha proposto finora al pubblico. Il maestro questa volta racconta di Tommaso Buscetta, il primo pentito di mafia, l'uomo che si rivelò decisivo nel diagnosticare quel 'cancro' che per troppo tempo è coesistito con lo Stato, in Sicilia. Coesistere non è un termine del tutto corretto, effettivamente Cosa Nostra nell'isola aveva letteralmente soppiantato lo Stato. Se si deve al giudice Giovanni Falcone l'intuizione di seguire i traffici mafiosi tramite i conti bancari, e il consecutivo smantellamento degli affari criminali, con le dichiarazioni di Buscetta si è riusciti a dare un volto a Cosa Nostra. Ed è proprio questo a cui è interessato Bellocchio, l'aspetto umano del fenomeno mafioso: Buscetta è un uomo solo, estraniato dal suo contesto e dal nucleo di appartenenza. Il regista analizza le sue scelte al microscopio, per far arrivare allo spettatore l'umanità, non del male ma, di un individuo a cui si sono infranti ideali e credenze.



Pierfrancesco Favino si è completamente spersonalizzato per dare a Buscetta corpo e voce, l'identificazione col pentito di mafia è perfetta. Un lavoro attoriale, il suo, che lascia il segno, degno dei grandi interpreti del nostro cinema. L'attore materializza l'integrità morale di un uomo scisso tra vecchi e nuovi valori. Bellocchio sceglie due momenti, in particolare, per far conoscere allo spettatore il Buscetta marito e mafioso: in Brasile, quando vede penzolare la moglie Cristina da un elicottero, e la scena finale del film, che chiude il cerchio sulla descrizione del personaggio, analizzato dal regista.



Buscetta non è il mafioso a cui il cinema, finora, ci ha abituati: poche parole, tanto sangue. Quando Tano Badalamenti lo raggiunge a Rio, portandogli la notizia dell'uccisione del fratello e del nipote, gli dice anche: "tu hai testa". Buscetta si muove in un carnaio, impossibile per lui riconoscere l'organizzazione a cui ha prestato giuramento. Don Masino osserva, riflette, e decide. Per il 'boss dei due mondi' rinunciare al potere non equivale ad un sacrificio ma ad una dichiarazione d'intenti: lui, paradossalmente, ama quello che fa, ma lo deve fare a modo suo, secondo il suo codice comportamentale. Preziosa la ricostruzione del rapporto creatosi col giudice Falcone, in cui il collaboratore di giustizia ha riconosciuto un uomo d'onore, anche se dall'altro lato della barricata. E lo Stato, in tutto questo, dov'è? Lo vediamo in Andreotti, sfuggente e indecifrabile. Bellocchio non aggiunge altro.

"Io non ti odio, signor Riina. Se ti odiassi ti farei un favore. Tu per me non esisti."

In concorso all'ultimo festival di Cannes, sicuramente Il traditore avrebbe meritato più risonanza all'interno della manifestazione. Il resto del cast, dallo straordinario Luigi Lo Cascio a Fabrizio Ferracane, da Fausto Russo Alesi a Maria Fernanda Candido, supporta Favino nella ricostruzione di un periodo che, ancora oggi, ha necessità di essere spiegato e analizzato.
Il traditore: Buscetta viene definito così, ma traditore di cosa e di chi? Senza mitizzazioni e inutili incensamenti retroattivi, Favino e Bellocchio restituiscono al primo pentito di mafia la credibilità di un uomo che, nonostante tutto, ha creduto di agire per il bene degli altri, prima che per se stesso. 

Il trailer:



Consigliato: Assolutamente sì

venerdì 15 marzo 2019

Recensione Flash: Domani è un altro giorno


Anno e Nazione di Produzione: Italia 2019

Distribuzione: Medusa

Genere: Commedia

Durata: 100 minuti

Cast: Marco Giallini, Valerio Mastandrea, Anna Ferzetti, Andrea Arcangeli, Fabrizia Sacchi, Renato Scarpa, Barbara Ronchi, Blas Roca-Rey

Regista: Simone Spada

Tommaso e Giuliano sono amici, ma amici davvero. Quelli che ormai è difficile trovarne ancora in giro, così legati al sentimento che li unisce.
Succede, però, che la vita ci mette del suo, sempre. Giuliano, attore di TV  e teatro, è malato, gli resta poco da vivere. Costantemente aggiornato sulla salute dell'amico dalla cugina di lui, Paola, Tommaso segue l'evolversi della malattia da lontano. Vive in Canada da anni, con moglie e figli.
Quando la situazione di Giuliano si avvia verso l'inevitabile conclusione, Paola chiede a Tommaso di aiutarla: Giuliano rifiuta le ultime cure, che lo terrebbero in vita per qualche mese ma nulla più. Lui non ci sta: è sempre stato libero (oltre che libertino, donnaiolo scanzonato e impenitente), non si arrende ad una fine così. Ad uscire di scena con gli applausi ancora scroscianti, è questo che vuole. D'altronde è un attore.
Tommaso così arriva a Roma, sperando di convincere Giualiano a proseguire le terapie. Invece sarà un addio, il loro, lungo quattro giorni, fatto di risate, tenerezza e affetto sincero. Sentimenti che nemmeno una morte imminente può scalfire e cancellare.



In principio fu Truman (la mia recensione ---> QUI), film spagnolo del 2015 che fece incetta di premi e successo, forte di una trama toccante e delle interpretazioni eccezionali dei due protagonisti della pellicola, l'argentino Ricardo Darin e lo spagnolo Javier Camara. Truman credo sia uno dei miei film spagnoli preferiti, e quando, mesi fa, ho letto la notizia di un rifacimento made in Italy che annunciava come protagonisti due degli attori italiani che più apprezzo, Marco Giallini e Valerio Mastandrea, mi sono ripromessa di vederlo assolutamente.
La scelta di Giallini e Mastandrea è la forza del film: i due attori, amici per davvero anche nella vita reale, rievocano alla perfezione l'alchimia dei protagonisti originali perché essendo la storia basata sul racconto di un'amicizia fraterna e di lunga data, era assolutamente imprescindibile che i due protagonisti condividessero un grande feeling. Giallini ci regala forse una delle sue migliori interpretazioni, a cui Mastandrea fa da spalla alla perfezione.
Posso dire che, non facendo poi tanti confronti col film spagnolo, Domani è un altro giorno mi ha regalato emozioni profonde e preziose.
Gira tutto intorno all'amore questo film: amore tra due amici, amore filiale, amore per un cane, Pato, fedele e tenero compagno di una vita. L'amore in tutte le sue declinazioni, quello puro e sincero. E c'è anche tanta riconoscenza, nonostante tutto: alla vita, alle persone che Giuliano ha incontrato, a cui ha voluto bene e a cui ha fatto del male. Riconoscenza anche alla morte, perché è grazie a lei che Giuliano prende coscienza della sua fortuna, dell'affetto che lo circonda. Scopre chi è davvero, cosa vuole e mette a tacere le 'voci di dentro', per far parlare solo il cuore. 

Il trailer:


Consigliato: Assolutamente sì!

mercoledì 6 febbraio 2019

Recensione (mica tanto) Flash: Il primo re


Anno e Nazione di Produzione: Italia, Belgio 2019

Distribuzione: 01 Distribution

Genere: Drammatico

Durata: 127 minuti

Cast: Alessandro Borghi, Alessio Lapice, Fabrizio Rongione, Massimiliano Rossi, Tania Garibba

Regista: Matteo Rovere

All'inizio della leggenda ci sono due fratelli. 
Cresciuti fianco a fianco, soli. La loro forza è il rimanere assieme, proteggersi a vicenda. Cercarsi con lo sguardo, sempre, perché dev'essere così. La madre, prima di lasciarli, ha chiesto a Remo di proteggere Romolo e di stargli vicino. Così è stato, e così è. Almeno fino a quando, fra loro, si frappone un sogno che si chiama Roma. 


Inutile che mi dilunghi nel raccontarvi la trama del nuovo film di Matteo Rovere. La leggenda della fondazione di Roma fa parte del nostro immaginario, fin da bambini. 
Attendevo con curiosità l'uscita di questo film, da quando ne lessi notizia ormai un anno e mezzo fa. Già allora l'idea, sulla carta (e con la prima foto dal set di Alessandro Borghi), mi era piaciuta, e mi domandavo come l'avrebbe concepita il regista questa storia così antica, mitica, quasi sacra; avevo avuto la percezione che fosse in arrivo un film davvero originale.
L'obiettivo principale di Rovere credo sia stato quello di umanizzarla questa leggenda: togliere quell'aura mitica, e anche un po' polverosa, per ricoprirla di più nobile sudore, terra e sangue.
Le battaglie su cui abbiamo fantasticato, sul grande schermo sono diventate epiche, ben girate e curate nelle movenze. I protagonisti Borghi e Lapice hanno tenuto a precisare che tutto lo sporco e il sudore sono dannatamente veri, frutto di intere giornate di riprese.
Rovere e la sua troupe hanno dedicato un'attenzione maniacale ad ogni aspetto del film, dal proto latino (un mix di latino e altre lingue, incluso etrusco e sabino, che si parlavano allora nel Lazio), scelta linguistica sensata e affascinante, alle ambientazioni tutte laziali. Dai costumi alla ricostruzione scenica dei villaggi, fino alle luci: quella che vedrete nel film è solo luce naturale. Anche in questo caso, si è voluto tutelare la genuinità della storia. Insomma, nulla è stato trascurato per far sì che arrivasse al pubblico una testimonianza viva di un passato così remoto, e leggendario.



Il regista sembra volerci dire che gli uomini sono sempre uomini, in ogni epoca. A vivificarli sono i medesimi sentimenti: paura, amore, gloria. Abbiamo un cuore antico, uguale a quelli di Romolo e Remo.
Quel che colpisce maggiormente de Il primo re è la capacità con cui sceneggiatura e regia siano riusciti a comunicare la precarietà e l'assoluta finitezza dell'essere umano. Ancor di più in quel tempo: ogni giorno di vita era una lotta, le cose cambiavano velocemente e all'improvviso.
Ci si poteva solo affidare agli dei. Uno degli elementi più importanti del film è proprio la religiosità, la presenza costante e quotidiana degli dei. È proprio questo a fare la differenza, la chiave di volta di tutta la storia.



Perché proprio Romolo è destinato a diventare re? A prima vista si direbbe che il protagonista della storia è sicuramente Remo, interpretato magnificamente da Alessandro Borghi: lo vediamo riempire la scena con una fisicità potente e animalesca, così ricoperto di fango e sangue che si fatica a distinguergli fattezze e sguardi. Remo è un uomo di carne e volontà, in lotta perenne con gli elementi, con i suoi simili, con gli dei. Durante un suo dialogo con la Vestale, l'incarnazione del dio tra gli uomini, in poche parole svela la sua natura allo spettatore; se la sacerdotessa crede nell'ineluttabile volontà divina che tutto governa, Remo, fiero, le dice che non esiste nessun dio che può influenzare il suo destino: "Il mio destino sono io". 
Speculare per sangue, ma non per il credo, vediamo Romolo, l'attore napoletano Alessio Lapice, contrapporsi alla fisicità del fratello con semplici sguardi e scarni discorsi, eppure così significativi e ben interpretati. Se Remo crede in se stesso, Romolo crede fortemente nell'entità divina, che lo supporta e lo definisce come uomo.
Quindi, se tutto accade in un'epoca in cui era la lotta per la sopravvivenza a dettare legge, perché Remo, così capace, soccombe e Romolo diventa re? 



Quello era il tempo degli dei, e gli uomini erano solo pedine in un gioco mortale di cui non conoscevano l'esito. Sempre la Vestale svela a Remo che gli dei si sono serviti di tutti loro, e inconsapevolmente ognuno ha fatto la sua parte (per quanto Remo si sia opposto, infatti lo definirei un homo novus, fuori posto in quei tempi mitici). 
Così, Romolo uccide il fratello perché Roma, altrimenti, non sarebbe mai esistita: lui crede e si fa guidare dagli dei perché la nuova città ha bisogno della protezione divina per nascere ed essere destinata ad un grandioso futuro. Un impero come lo sarà quello romano, giunge a così grande importanza e regalità solo grazie agli dei. Se fosse stato Remo a fondare Roma, la città sarebbe stata votata all'autodistruzione, poiché i pilastri su cui avrebbero poggiato le sue case e i suoi templi sarebbero stati di corruttibile carne e volubile volontà umana, e non di granitica forza divina.
Romolo crede, Remo no. La scelta, tra i due, per gli dei è stata semplice.
La scelta di uccidere Remo, invece, per Romolo sarà dolore e benedizione insieme. Sul sangue, insieme, i due fratelli fondano Roma: un sacrificio necessario e inevitabile affinché la futura gloria sia imperitura.
L'ho apprezzato davvero tanto questo film, e non riesco a trovargli difetti. Un film che il cinema italiano stava aspettando, e di cui si sentiva il bisogno. Bravi tutti, e tremate: questa è Roma. Questo è Il primo re.

Consigliato: Assolutamente sì



Il trailer: 



domenica 20 gennaio 2019

Recensione Flash: Non ci resta che il crimine


Anno e Nazione di Produzione: Italia 2019

Distribuzione: 01 Distribution

Genere: Commedia

Durata: 102 minuti

Cast: Marco Giallini, Alessandro Gassmann, Gianmarco Tognazzi, Edoardo Leo, Ilenia Pastorelli, Antonello Fassari

Regista: Massimiliano Bruno

Roma, oggi: tre amici, Moreno, Sebastiano e Giuseppe sono in centro per promuovere, col loro banchetto scalcagnato, un tur (se vedrete il film, capirete il perché della scrittura errata di tur) nei luoghi che hanno fatto la storia della banda della Magliana, il gruppo di criminali che ha terrorizzato Roma tra fine anni settanta e inizi anni Ottanta. Il più fissato dei tre con questa storia è Moreno, disoccupato e in rotta con la ex moglie per via degli alimenti che le dovrebbe. Incontrano Gianfranco, un loro amico d'infanzia, bullizzato prevalentemente da Moreno, che ha fatto fortuna rispetto a loro, vessati e scontenti della vita che conducono. Entrando in un bar, per prendere un caffè offerto proprio dalla loro ex vittima, i tre scoprono nello scantinato un varco temporale. Così, per sfuggire all'asfissiante Gianfranco, lo attraversano e si ritrovano nell'Italia del giugno '82: i Mondiali di Spagna, la Roma bella e genuina di allora. Moreno agogna la 'svorta', che nel suo tempo non è mai riuscito a raggiungere, facendo affidamento sulla memoria prodigiosa di Giuseppe che ricorda tutti i risultati delle partite del Mondiale e sulle scommesse che, quindi, risulterebbero tutte vincenti. Ma i tre dovranno vedersela proprio con Renatino De Pedis e la sua banda.
Massimiliano Bruno torna al cinema, nella veste di regista e attore, con una buona idea, anche se ricalca il topos narrativo dei viaggi nel tempo, quindi non è di originalità che stiamo parlando. Però, quest'ultimo declinato nella Roma della banda della Magliana ha una sua forza e attrattiva. Ma, sì c'è un ma, per me l'idea non è stata sfruttata bene, poiché si adagia su risate facili, dialoghi prevedibili e su attori che conosciamo benissimo, la chimica tra loro è innegabile, ma proprio per questo anche loro sanno già di visto. Le interpretazioni le ho apprezzate tantissimo, mi sono piaciuti davvero tutti, da Giallini a Gassmann, Tognazzi ed Edoardo Leo, ma è come se Bruno fosse voluto andare sul sicuro. Al posto suo, avrei puntato su attori giovani, e magari quasi sconosciuti, forse avrebbe funzionato di più. Poi, non capisco perché relegano Ilenia Pastorelli sempre nei ruoli di bonona/gatta morta (ma solo a me la Pastorelli ha ricordato con quella tutina le tre ladre di Occhi di gatto?): lei saprebbe interpretare ben altri ruoli, mi pare un peccato ed uno spreco farle fare sempre la coattona.  
Chissà Bruno se ha intenzione di proseguire la 'saga', visto il finale aperto. Magari, sulla falsariga di Smetto quando voglio. Ma ecco, lì il cast variegato e 'nuovo', sostenuto anche da una trama originale, ha saputo dare vita a una serie di film che rappresentano un qualcosa di innovativo nel panorama cinematografico italiano odierno.
Paragoni a parte, se secondo film sarà, spero che il regista corregga il tiro perché il potenziale nella storia c'è ma non è stato tirato del tutto fuori.

Consigliato: Nì

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sabato 12 gennaio 2019

Recensione Flash: Moschettieri del Re - La penultima missione



Anno e Nazione di produzione: Italia 2018

Distribuzione: Vision Distribution

Genere: Commedia

Durata: 109 minuti

Cast: Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea, Sergio Rubini, Rocco Papaleo, Margherita Buy, Matilde Gioli, Alessandro Haber, Giulia Bevilacqua, Valeria Solarino

Regia: Giovanni Veronesi

Nel 1650, trent'anni dopo le straordinarie avventure giovanili, i quattro moschettieri del re di Francia, D'Artagnan, Athos, Porthos e Aramis, non se la passano granché bene. Tutti male in arnese, avvolti dai fantasmi delle vecchie glorie del passato, tirano a campare. D'Artagnan è il solito guascone, dongiovanni impenitente che, nel corso degli anni, ha sviluppato un curioso difetto di linguaggio che lo relega ad impersonare un imitazione dell'eroe che fu. Gli altri tre, i primi moschettieri, hanno trascorso la loro vita tra donne, monasteri e alcool. La regina Anna d'Austria li richiama in servizio, chiedendo loro aiuto per salvare il regno del figlio Luigi XIV, dal minaccioso cardinale Mazzarino che mira a gettare la Francia nello scompiglio e nel caos. Ce la faranno, questi vecchi eroi, a portare a termine l'impresa?
Possiamo definirlo un esperimento, quello di Giovanni Veronesi, di girare in salsa italica una storia che ha una tradizione internazionale cinematografica illustre. Per me è sicuramente un esperimento riuscito, poiché saggiamente il regista ha dosato bene commedia, goliardia e azione, aggiungendovi infine il magico feeling tra i quattro attori. I moschettieri interpretati da Favino, Rubini, Papaleo e Mastandrea sono ben caratterizzati e si stagliano sicuri dal canovaccio narrativo. I difetti degli invecchiati  spadaccini si tramutano in qualità, in un bagaglio di esperienza e saggezza che permetterà loro di portare a termine l'impresa. Esilaranti i dialoghi, e ho letteralmente adorato la scena dell'arrivo dei moschettieri a palazzo con, in sottofondo, Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano. Un colpo di genio del regista! Simpaticissimi e in parte anche la Buy, Matilde Gioli e Alessandro Haber che hanno apportato ulteriore humor. Il finale, poi, vi sorprenderà. 
Spettacolari i paesaggi della Basilicata, tolgono davvero il fiato. Davvero preziosa la scelta di Veronesi di ambientare il film in una regione del sud Italia. E curiosità, la colonna sonora è firmata da Checco Zalone, ebbene sì.
Già me lo vedo Moschettieri del re a fare incetta di premi ai David di Donatello 2019, perché per me l'originalità deve essere premiata.

Consigliato: Assolutamente sì

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venerdì 16 febbraio 2018

La mia guida agli Oscar 2018



Mai come quest’anno, i film candidati agli Academy Awards si basano su solide, ottime e sorprendenti interpretazioni. Mai come quest’anno, però, le storie narrate non hanno destato particolare curiosità in me, non so dirvi perché esattamente. Definirle storie mosce mi getterebbe nell'Inferno dei critici cinematografici? Poco male, perché non sono una critica di schiatta, e soprattutto credo incontrerei persone interessanti laggiù. Ovviamente mi riferisco solo ad alcuni film, soprattutto quelli più osannati, blasonati e che hanno ricevuto più nomination. Se non mosce, allora queste storie definiamole dimenticabili. Perciò sono state proprio le interpretazioni che mi hanno invogliato a vedere i film candidati agli Oscar di quest’anno, e che hanno reso i film che li contengono un po' meno dimenticabili. Non sono riuscita a vederli proprio tutti tutti, però fatemi compagnia in questo excursus e scoprite quali mi sono piaciuti e quali no. E soprattutto, non seguiteli i miei consigli: non ho soldi per rimborsarvi i biglietti del cinema!

CHIAMAMI COL TUO NOME


Per il film di Luca Guadagnino ho scritto una recensione (forse un po’ isterica, non me ne vogliate) post-visione a dicembre.
Visto, ovviamente in lingua originale: e sì, sono d’accordo con quell'antipaticone di Vincent Cassel quando dice che, a volte, in Italia esageriamo col doppiaggio. Questo è uno di quei film che si assapora meglio nella lingua girata. Come vi dicevo, ho sentito l’urgenza di scriverne immediatamente, e quindi potete leggere la recensione qui: CHIAMAMI COL TUO NOME. Aggiungo soltanto che, per me è diventato uno dei film della mia vita. Vi smuoverà dentro un caos di emozioni: sentitele, assaporatele, vivetele! Questa è la magia di una bella storia. La magia di un amore assoluto e puro. Sicuramente non si è capito che tiferò peggio di un hooligan il 4 marzo per questo film! Immagino già che il film di Guadagnino non riuscirà a portare a casa le statuette più importanti, ma se vincesse quelle per la Miglior Sceneggiatura Non Originale al grande James Ivory, e quella per Miglior Canzone Originale a Sufjan Steven sarei comunque contentissima. NELLE SALE DAL 25 GENNAIO.

NOMINATION: Miglior Film (probabilità: 30%), Miglior attore protagonista (probabilità: 35%), Miglior Sceneggiatura non originale (probabilità: 80%), Miglior Canzone originale (probabilità: 70%).

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LADY BIRD




Il film di Greta Gerwig è tra i più quotati per la Notte degli Oscar 2018.
Avevo qualche aspettativa, anche perché la regista ha lavorato a lungo sulla sceneggiatura, prima di elaborarla davanti alla macchina da presa. Lady Bird credo sarà compreso meglio dagli spettatori statunitensi, intendo per come è raccontata la storia. La vicenda narrata, il percorso di crescita di Lady Bird (la bravissima Saoirse Ronan), è universale sicuramente: tutti abbiamo attraversato durante l’adolescenza quella fase di ribellione, di odio viscerale verso uno dei genitori, o entrambi anche, che ci fanno percepire un qualche collegamento con la protagonista. Però, la Gerwig non ha girato un film originale, o diverso a parer mio. Il plauso, da parte mia, le arriva comunque perché protagonista del suo film è una donna, una giovane donna con le sue idee, le sue aspirazioni, le sue voglie e desideri. Ma la regista non è uscita fuori dal seminato, ha lavorato su canovacci precedenti e ha ammantato tutto con quell'atmosfera fintamente punk, alternativa e ribelle, condita con quell'aggiunta di american way che sembra ti dica: ehi, solo qui da noi l’adolescenza è così da sballo! Non è un film, ma ho apprezzato maggiormente, e sentito più vicini, i ritratti adolescenziali della serie TV Tredici (13 reasons why) rispetto a quelli concepiti dalla Gerwig. Personaggi già visti, che a volte sfiorano la macchietta (come il ruolo di Timothée Chalamet: Elio che ti hanno fatto???). La regista deve ringraziare le sue attrici: le loro interpretazioni mi sono piaciute, la Ronan e Laurie Metcalf, infatti, trascinano il film al The End. Nomination per Miglior Regia e Miglior Film incomprensibili: credo la Gerwig sia stata inclusa nelle categorie del premio più importanti per mantenere le quote rosa. Sapete com'è, oltreoceano al politically correct ci tengono assai. NELLE SALE DAL 1 MARZO.

NOMINATION: Miglior film (probabilità: 60%), Miglior Regia (probabilità: 40%), Miglior attrice protagonista (probabilità: 55%), Miglior attrice non protagonista (probabilità: 60%), Miglior sceneggiatura originale (probabilità: 60%).

Il trailer: 



L'ORA PIÙ BUIA



Stiamo assistendo ad un revival della figura di Winston Churchill, ultimamente, tra serie TV e film.
Nostalgia per la vecchia Inghilterra? Le cose credo non sono cambiate granché: chiusi e snob erano, e chiusi e snob sono oggi. I’m jokinggggg!!! Ovviamente, scherzo. Ci sta che una nazione rivolga gli occhi al passato, e ci sta che un regista come Joe Wright frughi nelle pieghe del tempo per girare uno dei suoi film, come sempre impeccabile. Lo apprezzo tantissimo, il suo stile giovane e senza pretenziosità credo renda qualsiasi argomento narrato, interessante a tutti. Il regista britannico riesce a far appassionare a qualsiasi storia, anche se narra di uno statista burbero e difficile: Churchill, plasmato da Wright, diventa addirittura simpatico (che poi lo fosse davvero sir Winston Churchill, non ho dubbi in merito. Per diventare primo ministro in quel preciso momento storico, bisognava avere grande humor!). L’ora più buia racconta proprio la cronaca dell’arrivo in Downing Street di Winston Churchill, per il suo primo mandato, mentre l’Europa e il mondo intero sono alle soglie della seconda guerra mondiale. Un susseguirsi di accordi, leciti o illeciti, discussioni politiche e familiari, avventure nella Tube e corse in macchina, un Churchill quindi diviso tra pubblico e privato. Una narrazione, quella di Wright, al cardiopalma, mentre lo spettatore avverte, sempre più minacciosa, l’ombra di Adolf Hitler aleggiare sulla storia. Il ritmo del film è ottimo, e avrei dato a Wright almeno la nomination come Miglior Regia. Cosa dire di Gary Oldman? Irriconoscibile e strepitoso, come sempre. Da Sid Vicious (o Dracula) a Winston Churchill non è proprio un attimo, e ciò fa comprendere la bravura eclettica dell’attore inglese. Il caro Gary vincerà l’Oscar? Credo di sì. E come suo unico avversario vedo solo Daniel Day Lewis. Tra un po’, comprenderete perché. NELLE SALE DAL 18 GENNAIO.

NOMINATION: Miglior film (probabilità: 40%), Miglior attore protagonista (probabilità: 90%). 

Il trailer:



LA FORMA DELL'ACQUA



Tiriamoci ‘sto dente: non mi è piaciuto.
Lo dico subito, così chi l’ha apprezzato può saltare a piè pari questa mia mini insulsa recensione e passare alla prossima, sempre che godrò ancora della sua stima. Scherzi a parte, da Guillermo Del Toro non mi sarei aspettata nulla di diverso: originalità, innovazione, sentimenti, tematiche importanti affrontate col suo stile allegorico. Apprezzo molto la sua carica innovativa, ma La forma dell’acqua non mi ha entusiasmato o coinvolto. Come dicevo, la storia è al servizio di tematiche importanti, come accettare e amare la diversità, non chiudersi nel proprio orticello e rifiutarsi di comprendere che quel che ci rende diversi, beh quella è la ricchezza del genere umano. Nonostante questo, l’ho trovato un film lento, originale sì ma nemmeno esageratamente, e un pochetto ruffiano. Mi fa venire in mente un ragazzino sbruffone che, ad una gara scolastica, è già sicuro di vincere il trofeo. Film del genere ce ne sono sempre, ogni anno, agli Oscar. Sta allo spettatore scovarli, perché quelli dell’Academy, se non l’avete ancora capito, hanno da sempre preferenze e pupilli da accudire o premiare. Non l’ho trovato un film genuino, sincero per quanto, ovviamente, di qualità. Manco a dirlo, non comprendo le nomination: salvo solo quelle a Sally Hawkins e Octavia Spencer, brave e affiatate. Guillermo, comunque mucha mierda. NELLE SALE DAL 14 FEBBRAIO.

NOMINATION: Miglior film (probabilità: 85%), Miglior regia (probabilità: 75%), Miglior attrice protagonista (probabilità: 85%), Miglior attrice non protagonista (probabilità: 30%), Miglior attore non protagonista (probabilità: 55%), Miglior sceneggiatura originale (probabilità: 70%).

Il trailer:


TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI


Questo film può essere descritto con molti aggettivi, toccante, ironico, coraggioso, importante, perché nel suo viaggio tocca lo spettatore in modi diversi, e sempre efficacemente.
Prima di vederlo, non c'avrei scommesso granché, sembrava la solita storia americana di denuncia. Ed in effetti è così, ma come dicevo inizialmente, sono le interpretazioni a fare la differenza, in questo caso, quelle di Frances McDormand e Sam Rockwell. Tutto parte dallo stupro ed omicidio della figlia di Mildred (McDormand), avvenuto ad Ebbing, Missouri, nel sud degli Stati Uniti. Mildred, esausta dalla mancanza di notizie ed iniziative da parte del comando di polizia locale riguardo alle indagini, decide di affittare tre cartelloni pubblicitari fuori città. Quel che Mildred decide di denunciare pubblicamente, darà il via ad una serie di cambiamenti in città, che come tessere di un domino metteranno in moto nuove dinamiche, prese di coscienza e nuove alleanze. La McDormand, già premio Oscar per Fargo (1997) ci sguazza in questo tipo di storie, e il risultato è impeccabile, potente. Oltre a rimanerti dentro. Sam Rockwell fa un ottimo lavoro col suo Dixon, stupidotto redento sulla via di Ebbing. Credo sia uno dei film più forti in gara quest'anno. Vedere per credere. E per emozionarvi. NELLE SALE DALL'11 GENNAIO.

NOMINATION: Miglior film (probabilità: 85%), Miglior attrice protagonista (probabilità: 70%), Miglior attore non protagonista: duplice candidatura per Woody Harrelson (probabilità: 40%) e Sam Rockwell (probabilità: 80%), Miglior sceneggiatura originale (probabilità: 70%). 



Il trailer:




IL FILO NASCOSTO




Il cinema di Paul Thomas Anderson è per palati fini.
Per i gourmet del cinema. Non saprei come definirlo altrimenti. Ne Il filo nascosto, il regista lavora artigianalmente sulla storia, mantenendo l’elemento perturbante, comune alla maggior parte della sua cinematografia. Come il suo protagonista, lo stilista Reynolds Woodcock, Anderson trasferisce dal cartamodello alla realtà i vari pezzi di questa storia, apparentemente normale e prevedibile, facendoli sfilare davanti agli occhi dello spettatore a poco a poco. I protagonisti di Anderson sanno sempre come sorprenderti. Ovviamente in peggio. Sanno sempre come sconvolgerti o scioccarti. E così succede che questo affermato e insaziabile stilista, col procedere della storia, passa in secondo piano quando la sua musa scopre di poter agire e piegarlo. Affascinante, ipnotico, di gran classe (a contribuire a ciò, sicuramente l’atmosfera anni Cinquanta magnificamente riprodotta nel film), Il filo nascosto è, tra i film agli Oscar, quello che io vi consiglio assolutamente di vedere (insieme a Chiamami col tuo nome, ovviamente. Se ve lo state chiedendo in questo preciso momento: no, non smetterò mai di ossessionarvi con questo film!). Daniel Day Lewis ha affermato che questo sarà il suo ultimo ruolo: l’attore britannico ci ha abituati già in passato a questo tipo di annunci, ma se davvero decidesse di non tornare più a recitare, sono sicura che abbandona il palco mentre gli applausi scrosciano numerosi. Vedere per credere: la sua interpretazione non riesco a descriverla degnamente, anche perché la bravura di Day-Lewis sta pure nel non detto, nelle sensazioni che quegli occhi screziati e quella mimica inconfondibile infondono nello spettatore. Credo che il film e Day-Lewis siano dei papabili per l’Oscar: per l'attore sarebbe la quarta statuetta che, così, entrerebbe nella storia del premio. Godetevelo come se, per una volta nella vita, vi concedeste una cena nel ristorante più lussuoso della città. NELLE SALE DAL 22 FEBBRAIO.

NOMINATION: Miglior film (probabilità: 70%), Miglior regia (probabilità: 70%), Miglior attore protagonista (probabilità: 75%), Miglior attrice non protagonista (probabilità: 65%).

Il trailer:


TONYA


Questo film mi ha sorpresa. Parecchio.
E mi è piaciuto davvero tanto! Sarà che ho un debole per i cosiddetti perdenti, per i reietti, quelli che poi, nonostante la società perbenista e moralmente ineccepibile si diverte ad etichettare, vanno avanti e continuano a costruire, a fare qualcosa delle loro vite. Questo è il caso di Tonya Harding, la pattinatrice statunitense che, tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta, ha raggiunto faticosamente le vette del pattinaggio agonistico internazionale per poi esserne scaraventata giù. Ma a quella discesa, ha contribuito anche lei. La Harding, oltre a non essere una perdente, oltre a non essere perfetta, è anche una donna con gli attributi, una che nonostante tutto e tutti ha difeso la sua dignità, ed è sempre stata fiera di quel che è riuscita a conquistarsi, seppur per breve tempo. Le è stato vietato di praticare la cosa che più amava nella vita, il pattinaggio, eppure è andata avanti. Si è costruita un’altra Tonya. Insomma mi è piaciuto tutto di questo film: storia, ritmo, regia, e le interpretazioni. Ecco, parliamo di Margot Robbie (alla sua prima candidatura agli Academy) e di Allison Janney, già vincitrice del Golden Globe quest’anno: io a loro la statuetta la darei ad occhi chiusi. Se la coppia mamma-figlia, in Lady Bird, formata da Saoirse Ronan e Laurie Metcalf mi è piaciuta ma non rimarrà particolarmente impressa nei miei ricordi, quella formata dalla Robbie e dalla Janney credo proprio che me la ricorderò finché campo: graffianti, irruenti, irresistibili nel loro essere contorte e problematiche, le due attrici non fanno dimenticare tanto facilmente i loro ruoli. Un film aggressivamente pop. Da vedere! NELLE SALE DAL 22 MARZO.

NOMINATION: Miglior attrice protagonista (probabilità: 55%), Miglior attrice non protagonista (90%).

Il trailer: 



THE POST



Ops, I did it again! Sì, lo so Britney Spears non c'azzecca molto con Steven Spielberg.
Però è quel che voglio dire riguardo a The Post, l'ultimo film del regista premio Oscar, veterano che si fa accompagnare da altri veterani. Gioca facile (o sporco) Spielberg, perché con Tom Hanks e Meryl Streep come protagonisti, più altri comprimari di lusso come Michael Stuhlbarg (grande attore, in tre film agli Oscar quest'anno) e Bob Odenkirk, sa perfettamente di aver confezionato un film valido. Tratto da una storia vera, il film elenca tutti i baluardi della democrazia statunitense, e centrale, in questo caso, è la libertà di stampa. Ops, I did it again perché il regista conosce alla perfezione come emozionare il (suo) pubblico, e sicuramente ci crede anche in quei valori. Però, nonostante le interpretazioni di pregio e un film che scorre senza intoppi, la storia sa di già visto, di sfruttato, insomma è un po' un carillon inceppato Spielberg, in quest'ultimo periodo. Di film a tematica giornalistica, quello più interessante, ultimamente, è stato Il caso Spotlight: quello sì che è stato coraggioso, non autoreferenziale o propagandistico. Senza macchia e senza paura, gli Usa proprio non sono. Comunque, non mi voglio addentrare in questioni politiche, parliamo della Streep, nuovamente candidata e che sa gestire alla perfezione il suo personaggio: importante il suo ruolo di protagonista perché illustra quanto, per una donna, in ogni epoca, sia difficile farsi strada o anche semplicemente farsi rispettare, sul lavoro. E poi c'è quella faccia da schiaffi di Tom Hanks che non delude mai. Vedetelo, magari, ma senza aspettarvi troppo. NELLE SALE DAL 1 FEBBRAIO.

NOMINATION: Miglior film (probabilità: 55%), Miglior attrice protagonista (probabilità: 40%).

Il trailer:



COCO


Ultimamente, non ho visto molti film d’animazione.
Credo che l’ultimo sia stato Inside Out. Però Coco, il nuovo nato in casa Disney-Pixar, mi è stato subito simpatico, a pelle ho deciso di vederlo assolutamente. Così, ho vinto la mia idiosincrasia verso l’infanzia e mi sono catapultata nella storia, nel Messico che amo. Tornare bambini, ogni tanto, fa davvero bene. Vi avviso: procuratevi una copiosa scorta di fazzoletti perché la storia di Coco, del suo papà e della sua famiglia vi conquisterà senza che voi nemmeno ve ne accorgiate. Non c’è molto altro da dire, la magia di questo film bisogna sperimentarla col proprio cuore. Credo sia uno dei migliori creati, negli ultimi anni, dalla Disney-Pixar. Quindi, non potete perdervelo. La Disney-Pixar è tra le vincitrici storiche della Notte degli Oscar ma, quest'anno, tifo per il lungometraggio d'animazione successivo. NELLE SALE DAL 28 DICEMBRE.

NOMINATION: Miglior film d'animazione (probabilità: 70%).

Il trailer:



LOVING VINCENT


Un film d’animazione sui generis, perché non dedicato ai piccoli ma ai 'grandi'.
Un film ambizioso nel voler attirare al cinema un pubblico adulto per vedere un 'cartone animato', nel voler raccontare di Vincent Van Gogh, il grande pittore olandese. Perché un film su Van Gogh? Perché Vincent se lo merita. Nel cast ci sono Saoirse Ronan, Aidan Turner, Helen McCrory, Douglas Booth, Jerome Flynn, Eleanor Tomlinson e Robert Gulaczyk nel ruolo dell'artista, che sono trasformati sullo schermo in dipinti animati, disegnati a mano con lo stile di Van Gogh dal team di pittori, gli altri grandi protagonisti di questo film. Nel lungometraggio d’animazione si ripercorre la vita di Vincent Van Gogh, si cercano di comprendere i perché dietro il suo suicidio, si parla con chi l’ha conosciuto nei suoi ultimi mesi, si parla di arte, della sua arte, e della sua anima, fragile, sensibile e bellissima. Un film prezioso: lo consiglio a tutti, non soltanto a chi è un appassionato d’arte o che ama Van Gogh, perché abbeverarsi alla fonte di una grande anima disseta a lungo. Vincent rincuora lo spettatore, lo incoraggia ad essere fragile, a sentire, profondamente e amare la vita. Il film è passato nelle sale per pochi giorni, ma è acquistabile in DVD e Blu-Ray. 

NOMINATION: Miglior film d'animazione (probabilità: 75%).

Il trailer:




Ultima considerazione davvero: non so a voi, ma a me fa piacere che i film di quest'anno, nonostante non brillino per originalità, hanno come protagoniste per la maggior parte donne forti, a modo loro.
Spero di non avervi annoiato, e come avrete potuto notare ho anche aggiunto le percentuali di probabilità per le nomination. Un giochetto che mi sono divertita a fare, e invito anche voi ad unirvi a me. Cos'altro scrivere se non buona visione e buona notte degli Oscar 2018!