sabato 27 ottobre 2012

Recensione Flash Bollywoodiana: Il mio nome è Khan


Titolo originale: My name is Khan

Anno e nazione di produzione: India 2010

Distribuzione in Italia: 20th Century Fox

Genere: Drammatico

Durata: 165 minuti

Cast: Shahrukh Khan, Kajol, Katie A. Keane, Kenton Duty, Benny Nieves

Regista: Karan Johar



Rizwan Khan è indiano, musulmano e ha la sindrome di Asperger. Insomma è un diverso. E' quanto di più diverso si possa incontrare nell'America post 11 settembre.
La madre lo ha educato e protetto dal mondo che troppo spesso calpesta le libertà individuali altrui, che riguardino la religione o particolarità fisiche o psichiche. Cresciuto in India, alla morte della madre si trasferisce a San Francisco, dove il fratello vive da tempo; prima di morire le promette di vivere una vita felice. E Rizwan la prende alla lettera: la sindrome da cui è affetto, che è una forma non grave di autismo che non pregiudica le facoltà cognitive dell'individuo ma rende difficile il rapportarsi con gli altri, e causa disturbi del linguaggio e della comprensione, gli dona anche caparbietà e tenacia: trova un lavoro, conquista il cuore di Mandira e la sposa, nonostante lei sia hindu (le unioni tra musulmani e hindu sono un sacrilegio per l'Islam) e ne adotta il figlio a cui si affeziona molto. Ma soprattutto, lui che ha difficoltà nel comprendere gli altri e il mondo che lo circonda, dopo l'11 settembre vuole aiutare la gente a capire che un nome o una religione non contraddistinguono l'individuo.


E' il film più hollywoodiano girato a Bollywood. Molti nel personaggio di Rizwan Khan c'hanno visto il Raymond Babbit di Rain Man o Forrest Gump. Ma oltre a cambiare le vite degli altri, Rizwan vuole guarire il mondo dalla paura.
Il film tocca vari aspetti del mondo nuovo, che si è svegliato in un'epoca dove l'Islam è associato sempre al terrorismo. Chiunque nell'America ferita può essere un terrorista, anche un ragazzino.
Molto buona l'interpretazione di Shahrukh Khan, superba quella di Kajol; non a caso i due attori, delle certezze del cinema indiano, sono stati scelti per un esperimento su scala mondiale. Il regista Karan Johar sa destreggiarsi bene anche al di fuori delle sale cinematografiche indiane, trasformando le quasi tre ore di film (è la durata media di un film hindi) nel viaggio appassionante in una mente illuminata dalla tolleranza.

Il trailer:


Consigliato: Sì 

INCURSIONI CINEMANIACHE

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